#barriera encefalica
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Ministro salute tedesco:
🇩🇪 I VACCINI COVID-19 POSSONO CAUSARE "DISABILITÀ PERMANENTI", AFFERMA IL MINISTRO DELLA SALUTE TEDESCO
Il ministro della Salute tedesco Karl Lauterbach, che una volta ha affermato che la vaccinazione contro il COVID-19 è priva di effetti collaterali, ha ammesso la scorsa settimana di essersi sbagliato, affermando che le reazioni avverse si verificano al ritmo di una dose su 10.000 e possono causare "gravi disabilità".
E un medico, aggiunge: "Nei primi sei mesi dopo il lancio delle iniezioni di COVID-19, ho avuto un'intera gamma di pazienti con tutti i tipi di problemi che non avevano mai avuto prima", ha detto, aggiungendo che l'unico comune denominatore di questi casi era che tutti aveva i vaccini COVID-19.
"Non abbiamo mai avuto nella storia del programma di vaccinazione in tutto il mondo un'iniezione sperimentale che attraversa la barriera emato-encefalica, entra nel cervello stesso e nel sistema nervoso", ha detto Vliet.
"Questi vaccini di terapia genica COVID lo fanno", ha detto. "Attraversano anche la barriera placentare... quindi è comprensibile il motivo per cui queste iniezioni sperimentali di terapia genica stanno causando così tanti danni allo sviluppo dei bambini nell'utero, al cervello e al sistema nervoso centrale nei bambini e negli adulti".
(qui gli scienziati italiani auspicavano e consigliavano vaccinazioni a tutte le donne incinte...ed erano 2 anni che non solo la Bolgan ed altri medici reietti da loro studi lo evidenziavano, preso per bene per il culo, radiati etc dai nostri televirologi, politici, da giornalisti, clown televisivi , vi ricordate Fiorello al festival a prendere per il culo chi aveva gli effetti collaterali? Io non dimentico. )
(Fonte: Epochtimes)
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Stile di vita ed alimentazione alla base dei Dsm
Rivoluzione nella psichiatria: i segreti del corpo per comprendere la mente. Diverse ricerche si concentrano sulle cause delle patologie al di là dei sintomi mentali. Una rivoluzione di approccio per la psichiatria Una rivoluzione è in corso in psichiatria, un cambio di paradigma che porterà per la prima volta questa disciplina ad attaccare non i sintomi delle diverse patologie mentali, ma le cause sottostanti. È quanto emerge da una serie di ricerche svolte da diversi studiosi europei e americani. Facciamo dunque un passo indietro e partiamo dal fatto che la psichiatria moderna ha sempre seguito un approccio diverso dal resto della medicina. Se infatti quest’ultima si è occupata di identificare le cause delle diverse malattie, e di intervenire su di esse, la cura della mente si è limitata appunto a classificare i sintomi delle patologie mentali, trattando appunto questi ultimi. I limiti della spiegazione genetica Secondo Belinda Lennox, direttrice del Dipartimento di Psichiatria dell’Università di Oxford, «durante tutto il secolo scorso il trattamento della malattia mentale è stato tenuto separato dal resto della medicina, e non disponiamo nemmeno di test diagnostici o biomarker predittivi».
Approcci. Alla Stanford University opera da tempo una clinica di psichiatria metabolica, i cui pazienti vengono trattati, oltre che con i farmaci, con la cura dell’alimentazione e dello stile di vita Tutto ciò è esemplificato nel celeberrimo Dsm (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Illnesses), la “Bibbia” della psichiatria, un tomo che cerca appunto di raggruppare i diversi sintomi in condizioni discrete, dalla depressione maggiore alla schizofrenia. Già nel 2013 lo Us National Institute of Mental Health ha tentato di allontanarsi dall’approccio classico, investendo nella ricerca di geni connessi alle patologie mentali, ma senza successo, i geni così identificati hanno infatti manifestato un’influenza limitata sui disturbi in questione. Secondo Allen Frances, psichiatra della Duke University, si è trattato di una ricerca intellettualmente stimolante ma di un fallimento dal punto di vista clinico. I geni non costituiscono una spiegazione adeguata, per Ludger Tebartz van Elst, studioso dell’Ospedale Universitario di Friburgo, secondo il quale – ad esempio – condizioni molto diverse tra loro, come autismo, schizofrenia e Adhd, sembrano connesse alla medesima anomalia genetica, causata dalla perdita di un piccolo pezzetto del cromosoma 22. Un primo spiraglio di luce nei confronti della vera natura delle patologie psichiatriche si comincia a intravedere già a partire dal 2007, quando uno studio eseguito all’Università della Pennsylvania su un centinaio di pazienti affetti da problemi psichiatrici ha evidenziato come essi fossero in realtà affetti da un disturbo autoimmune (l’encefalite da recettore anti-Nmda), in sostanza un’infiammazione cerebrale da anticorpi che può appunto provocare psicosi. E in tempi più recenti Lennox ha messo in luce l’esistenza di un’inedita relazione tra malattie psichiatriche e sistema immunitario. Analizzando campioni di sangue di migliaia di pazienti affetti da psicosi, la scienziata ha evidenziato come nel 6% dei casi ci fosse un numero elevato di anticorpi legati ai recettori Nmda (“vie di comunicazione” presenti nei neuroni). Secondo Lennox non è chiaro come questi anticorpi agiscano, o come possano provocare fenomeni diversi come attacchi epilettici, psicosi ed encefaliti. Non è chiaro nemmeno come possano attraversare la barriera emato-encefalica, la membrana che controlla l’accesso al cervello. Tali anticorpi si concentrerebbero nell’ippocampo, area cerebrale deputata all’elaborazione delle informazioni provenienti dalla memoria a breve termine, il che spiegherebbe la produzione di allucinazioni e credenze illusorie. Lennox (Oxford Univ.): «Agire sul sistema immunitario» Secondo la studiosa è necessario un cambio di paradigma: «Le mie ricerche hanno mostrato che persone affette da malattia mentale possono migliorare in seguito a interventi sul sistema immunitario». La studiosa propone tra le possibili strategie l’utilizzo di farmaci immunoterapici o steroidei. Un’altra linea d’indagine è quella relativa a malattie psichiatriche e metabolismo. Il cervello è un organo affamato di energia, e nel corso del tempo è emersa una relazione tra alterazione di questo o quel processo metabolico e lo sviluppo di condizioni come schizofrenia, disturbo bipolare e depressione maggiore. Al punto che alla Stanford University opera da tempo una clinica di psichiatria metabolica, i cui pazienti vengono trattati, oltre che con i farmaci, con la cura dell’alimentazione e dello stile di vita. Le promesse della dieta chetogenica Una via che promette bene è quella della dieta chetogenica, che restringe l’apporto di carboidrati, costringendo l’organismo a bruciare al loro posto grassi e a produrre molecole note come chetoni, che fungono da carburante per il cervello quando il glucosio è assente. Stando a Kirk Nylen, neuroscienziato esponente del Baszucki Group – ong che finanzia tra l’altro ricerche neuroscientifiche –, sono in corso ben 13 trial in varie parti del mondo relativi agli effetti delle terapie metaboliche su patologie mentali gravi, terapie che sembrano funzionare anche su pazienti resistenti a farmaci, stimolazione magnetica transcraniale e addirittura terapie elettroconvulsive. E, nel 2023 un database medico, Uk Biobank, ha pubblicato dati che mostrano come le persone sofferenti di depressione presentano un tasso elevato di proteine infiammatorie, come le citochine. E se la Lennox propone di rendere routinari in ambito psichiatrico almeno in certi casi i test relativi agli anticorpi, Thomas Pollack, neuropsichiatra del King’s College di Londra, propone di utilizzare la Mri sui pazienti già dopo il primo episodio psicotico. Read the full article
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i percorsi cerebrali dietro la crisi degli oppioidi Il meccanismo cerebrale dietro la crisi degli oppioidi Uno studio rivela che la dipendenza da fentanil ha origine da due circuiti cerebrali interconnessi anziché da un unico percorso neurale. La scoperta potrebbe portare allo sviluppo di farmaci antidolorifici meno dipendenti. Scoperte recenti Scoperte come l’utilizzo di “assembloid” per studiare la somministrazione di farmaci e un gel che previene l’intossicazione da alcol in topi stanno rivoluzionando la ricerca scientifica. Ulteriori ricerche svelano come la fusione di organoidi possa simulare la barriera emato-encefalica e come la produzione di formaggio possa contribuire a creare un antidoto contro l’eccesso di alcol. Approfondimento: Chat informativa
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Alla ricerca delle citochine che innescano l'emicrania: e la sorpresa non manca
L’emicrania è una condizione neurologica cronica caratterizzata da frequenti mal di testa, nausea e vomito. È una causa significativa di disabilità negli individui giovani ed è collegata all’infiammazione neurogena. Questa infiammazione è caratterizzata dal rilascio di mediatori infiammatori, aumento della permeabilità vascolare, infiltrazione leucocitaria, rottura della barriera emato-encefalica…
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#Alimentazione in Gravidanza#citochine#delle#innescano#l&8217;emicrania:#manca#ricerca#salute#sorpresa
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GHIANDOLA PINEALE
Che cos’è la ghiandola pineale?
La ghiandola pineale è una piccola ghiandola endocrina che si trova nel cervello, e precisamente nell’epitalamo (tra i due emisferi). Di colore grigio rossiccio, ha la forma di una piccola pigna. Le sue dimensioni sono di 5-8 millimetri e pesa circa 150 milligrammi. Cresce fino al secondo anno di vita, benché il suo peso continui ad aumentare fino all’adolescenza.
Curiosamente, la ghiandola si trova al di fuori della barriera emato-encefalica, una barriera permeabile che separa il sangue circolante dal liquido extracellulare del sistema nervoso c’entra del che consente il passaggio di acqua, gas e molecole.
La ghiandola è costituita principalmente da pinealociti (la cui funzione è quella di secernere la melatonina), ma sono stati identificati altri 4 tipi di cellule.
La melatonina è un ormone che si trova negli esseri umani, negli animali, nei funghi, nelle piante e nei batteri.
Prende parte a diversi processi cellulari, neuroendocrini e neurofisiologici, come per esempio il controllo del ciclo quotidiano del sonno (i deficit di questa sostanza possono portare a insonnia o depressione.
Funzione della ghiandola pineale
Le funzioni della ghiandola pineale sono le ultime ad essere state scoperte fra tutti gli organi endocrini. La ghiandola risponde alle variazioni di luce che si verificano intorno a noi, attivandosi in caso questa risulti insufficiente per secernere la melatonina (ma anche serotonina, noradrenalina, istamina ed altre). È possibile evidenziare diverse funzioni:
Secerne la melatonina, produce DMT ed è un deposito di serotonina; Rafforza il sistema immunitario; Regola le funzioni endocrine; Regola il ritmo circadiano e i cicli di veglia e sonno; Regola i ritmi stagionali, lo stress le prestazioni fisiche e l’umore; Influenza gli ormoni sessuali.
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CONSIGLIO NUMERO 62 - EMICRANIA E DIMAGRIMENTO -
CONSIGLIO NUMERO 62 – EMICRANIA E DIMAGRIMENTO –
Mal di testa e stanchezza sono componenti ben note a chi si sottopone a regimi alimentari biochimicamente errati.
Esistono sostanzialmente 2 tipi di emicranie:
– la prima è indotta da tensioni muscolari cervicali causate da traumi o atteggiamenti posturali anormali.
– la seconda da infiammazione del sistema circolatorio cerebrale e del nervo trigemino.
Chiariamo definitivamente quali sono le…
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#ATP#barriera encefalica#carnitina#citochine infiammatorie COX-2#coenzima Q10#cortisolo#emicrania#ginseng#ipoglicemia#mal di testa#melatonina#ossido nitrico#pepe#peperina#Raffaele Fiorentino#rosa rodiola#sistema immunitario#tribulus terrestris
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Come mai la zeolite deve essere monitorata quali possono essere gli effetti avversi? p.s Anche il coriandolo è un chelante? grazie!!
Un chelante ha la capacità di legare metalli, che sia piombo (tossico, quindi da eliminare) o magnesio (utile, quindi non da eliminare) o calcio (come magnesio), al chelante non cambia nulla. Lega tutto e impoverisce l’organismo. In caso di terapia chelante data da intossicazione acuta da qualche metallo pesante, allora il medico prescrive la giusta quantità e tiene sotto controllo il paziente in ospedale. In caso di autoterapia, si può andare in contro a carenze anche gravi, a seconda di quanto prodotto si usa.
Non mi risulta che il coriandolo abbia effetti chelanti. È usato insieme alla clorella, un derivato algale che si dice abbia effetti chelanti, per poter superare la barriera emato-encefalica e chelare i metalli nel cervello. Non credo ci sia bisogno di ribadire quanto tutto questo sia un’idiozia, vero?
Siate sana e non chelata maggioranza (tanto per citare un tumblero a caso)
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Quali danni fa lo smog al cervello di ELENA PAPARELLI Il legame fra inquinamento atmosferico e basse prestazioni cognitive è alla base del recente studio The impact of exposure to air pollution on cognitive performance ... «La ricerca», spiega a L43 Federica Alemanno, docente della Scuola di Specializzazione in Neuropsicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «è svolta sulla popolazione adulta cinese ed è coerente con il noto effetto di tossicità sull’uomo degli agenti inquinanti inalati in maniera costante per periodi prolungati». ...Durante la ricerca sono stati tenuti sotto osservazione per ben quattro anni la capacità di linguaggio e matematiche di circa 20 mila persone: l’esito della ricerca ha evidenziato come lo smog incida in maniera negativa sulle capacità cognitive in particolare con l’avanzare dell’età e con il diminuire del livello di istruzione. «Essenzialmente», afferma Alemanno, «il danno cerebrale è regolato da un meccanismo a soglia, superata la quale insorge il disturbo cognitivo. Ma quali sono gli inquinanti che possono influenzare la chimica del cervello? «Soprattutto anidride carbonica e Pm10, che vengono assorbiti per via respiratoria; da lì si legano ai globuli rossi e attraverso il flusso sanguigno vengono trasportati per via sistemica a tutti i nostri organi», spiega ancora la docente. Quando alcune sostanze inquinanti riescono a superare la barriera emato-encefalica, giungono al cervello innescando un processo di ossidazione che danneggia il neurone stesso. «Se l’esposizione è moderata e non continuativa», specifica Alemanno, «ci sono enzimi interni al nostro organismo che tengono a bada il processo infiammatorio». L’assunzione di vitamina E, dal potere antiossidante, contenuta in alimenti come verdura e frutta costituisce un prezioso alleato nel combattere il processo infiammatorio in atto. Oltre un certo grado di infiammazione poi, il processo non può essere arrestato e si verifica il danno». Va da sé che alte concentrazioni di Co2, per esempio nei luoghi di lavoro, possono influenzare anche la produttività stessa dei dipendenti....Secondo i ricercatori, i risultati dello studio cinese possono essere applicati a più dell’80% della popolazione urbana mondiale che è esposta a livelli di inquinamento non sicuri.
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Buongiorno Kon-igi. Ho letto con più dispiacere che interesse la diatriba sulla bambina morta di malaria, che su altri blog è andata anche oltre i limiti della decenza. Ho una domanda: come è possibile che non si sia riusciti a curare la bambina?
Prima di risponderti nello specifico apro una parentesi verbosa che cercherò di ridurre ai minimi termini.
Siamo sempre a un passo dal morire.
Il nostro organismo (inteso come insieme di organi) lavora in una perfetta sinergia di equilibrio chiamata omeostasi organica e quando una funzione si altera, l’intero organismo lavora freneticamente affinché siano ripristinate le condizioni ottimali (in maniera autonoma oppure con l’aiuto di farmaci) ma la rappresentazione popolare della medicina moderna, purtroppo, ha dato la falsa percezione che si possa sempre e comunque intervenire in maniera efficace e risolutiva.
Purtroppo non è così.
Quando un fegato va in insufficienza epatica per un’infezione virale o per un avvelenamento, quando subentra una meningite, una pancreatite, un’arteriopatia o un danno degli alveoli polmonari, i medici spesso possono solo tamponare con trattamenti quasi ininfluenti e incrociare le dita sperando nella capacità di ripresa dell’organismo.
Nel caso della bambina, si è trattato di una variante cerebrale della malaria e questo significa che se nella maggior parte dei casi il plasmodium viene efficacemente tenuto a bada da farmaci antimalarici (artemisina, meflochina etc), in questo caso è successo che prima di tutto si è trattato della variante falciparum, la più aggressiva, e poi che sfortunatamente l’azione deformante che questo sporozoo opera sugli eritrociti (il plasmodium entra nel globulo rosso e ne altera la sua forma discoidale) è avvenuta a livello cerebrale perché riuscito a passare la barriera emato-encefalica e quindi in poche ore i globuli rossi deformati e deboli si sono rotti, si sono coagulati e hanno creato micro-ischemie da stenosi capillare del circolo cerebrale con conseguente come e morte.
Purtroppo i sintomi della malaria sono inizialmente scarsi e sovrapponibili a una qualsiasi banale influenza, tanto che la diagnosi differenziale di triage si fa chiedendo se il paziente è stato all’estero in paesi tropicali e nel caso della bambina niente faceva supporre questo tipo di infezione.
Se i medici avessero avuto la sfera di cristallo forse si sarebbe potuto intervenire con terapie mirate ad evitare le complicanze ma difendo con cognizione di causa i miei colleghi dicendo che il Dott.House è un personaggio di fantasia e che se tutti dovessero supporre l’improbabile e intervenire in tal senso, il nostro sistema sanitario nazionale crollerebbe nel giro di un mese.
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La fame chimica come controllarla e prevenirla
La fame chimica come controllarla e prevenirla
La fame chimica come controllarla e prevenirla
La fame chimica può diventare una vera seccatura, specie per chi desidera ridurre l’assunzione di calorie. In questo articolo vi presentiamo alcuni consigli per evitare che la fastidiosa fame chimica susciti un appetito insaziabile nella vostra mente, e nel vostro stomaco.
Quando i cannabinoidi attraversano la barriera emato-encefalica, si scatena la…
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#2019#Appetite#Biscotti#Biscotto#Brian#Cancro#Cannabinoid#Cannabinoide#cannabinoids#Cannabis#Chemioterapia#Chemotherapy#Cibo#Fame#Frutta secca#Mangiare#marijuana#Meditazione#Natura selvaggia#Seed#Sonno#Specie#Stimolo#Therapy
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Testata nuova tecnica di terapia genica contro il Parkinson
Testata nuova tecnica di terapia genica contro il Parkinson
Lo studio, condotto da Istituto di neuroscienze del Cnr e Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato la capacità di un nuovo vettore virale di superare la barriera emato-encefalica e diffondersi in tutto il cervello rilasciando il gene terapeutico e rallentando l’accumulo dei depositi tossici alla base della malattia. La ricerca, che apre la strada alla realizzazione di nuovi farmaci…
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Il Lactobacillus reuteri presente nell'intestino aiuta la memoria
Se i batteri intestinali influenzano anche il cervello. La propria passione più recente è approfondire come i batteri intestinali non solo influenzino lo stato di salute e di malattia (perché vi siamo legati esattamente ‘finché morte non ci separi’), ma abbiano un importante effetto sul comportamento e sulle malattie mentali. Ora una nuova ricerca ha tracciato una serie di connessioni che collegano il percorso del microbioma intestinale e la memoria, chiamando in causa quindi anche le facoltà cognitive. Per farlo hanno usato un nuovo modello di topo modificato con l’ingegneria genetica al fine di simulare la diversità genetica della popolazione umana. Imitando la variabilità umana, i ricercatori sono partiti da 29 famiglie (ceppi) diverse di cavie. Ogni gruppo è stato messo sotto esame con una batteria di test mnemonici.
Lo studio, apparso sulla rivista Microbiome (53 del 17 aprile 2020), ha così permesso di indagare come alcuni fattori genetici possono influenzare i ricordi tramite l’azione di metaboliti prodotti nell’intestino. Che intestino e memoria fossero collegati non era sfuggito agli scienziati ma in questo caso l’osservazione è stata fatta da una diversa angolazione, chiamando in causa la genetica e, come nella migliore tradizione, a tutti i topolini sono stati dati dei voti. Sono stati poi studiati i roditori che avevano ottenuto i voti più alti identificando due SET di 135 geni collegati alla capacità di ricordare e che non erano mai stati associati prima a capacità cognitive. Il passo successivo è stato guardare cosa succedeva a livello intestinale, nel microbiota. E proprio da questa analisi sono emerse affascinanti informazioni, ossia che i Lattobacilli erano correlati alla memoria migliore e la specie Lactobacillus reuteri in particolare, era associata a ricordi più solidi e stabili. Ma per ogni operazione che si rispetti è necessaria una controprova, quella ‘prova del 9’ che ci ha ossessionati alle elementari e che concettualmente è pane quotidiano nella ricerca scientifica, dove ogni scoperta deve essere confermata. Sono stati quindi selezionati topi con l’intestino privo di germi (tecnicamente germ-free) a cui è stato somministrato il L. reuteri. Anche in questo caso i topolini si comportavano come piccoli ‘Pico della Mirandola’. L’associazione tra componenti intestinali e memoria risiede in particolari processi molecolari che si possono così riassumere: tutti i ceppi di lattobacilli producono come principale metabolita il lattato. Se ad una cavia smemorata viene somministrato il lattato, mostra un miglioramento rapido nella capacità di ricordare. Il lattato ha quindi un interessante ruolo in processi cognitivi e si ritiene che sia in grado di superare la barriera emato-encefalica, fatto che convaliderebbe l’ipotesi che agisca direttamente sui circuiti deputati alla memoria. Read the full article
#barrieraemato-encefalica#batteri#cervello#intestino#Lactobacillusreuteri#lattato#malattiementali#memoria#microbioma#microbiomaintestinale
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Il bilancio del COVID sul cervello: emergono nuovi indizi Barriera emato-encefalica compromessa e infiammazione: nuove scoperte sul COVID e il cervello Un recente studio pubblicato sulla rivista Natura ha evidenziato che la compromissione della barriera emato-encefalica e processi infiammatori potrebbero spiegare i sintomi cognitivi legati al COVID-19. Le implicazioni di uno studio innovativo La ricerca suggerisce che il virus potrebbe influenzare direttamente il cervello attraverso la compromissione della barriera emato-encefalica, portando a sintomi come confusione mentale e difficoltà cognitive riscontrati in alcuni pazienti post-COVID. Prospettive per future terapie e approfondimenti Questi nuovi indizi gettano luce su potenziali vie terapeutiche mirate a prevenire o trattare i sintomi neurologici legati al
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Testata nuova tecnica di terapia genica contro il Parkinson
Lo studio, condotto da Istituto di neuroscienze del Cnr e Ospedale San Raffaele di Milano, ha dimostrato la capacità di un nuovo vettore virale di superare la barriera emato-encefalica e diffondersi in tutto il cervello rilasciando il gene terapeutico e rallentando l’accumulo dei depositi tossici alla base della malattia. La ricerca, che apre la strada…
Testata nuova tecnica di terapia genica contro il Parkinson was originally published on ITALREPORT
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Farmaco per asma riduce il rischio di sviluppare il Parkinson
Il salbutamolo, un farmaco comunemente usato per combattere l'asma, potrebbe diminuire molto il rischio di sviluppare il Parkinson. Lo suggerisce uno studio pubblicato su Science e basato su oltre 100 milioni di prescrizioni.
Per arrivare al farmaco i ricercatori della Harvard Medical School hanno fatto uno screening di oltre 1000 diversi farmaci, integratori e altre molecole conosciute, alla ricerca di quelle in grado di bloccare, in test di laboratorio, la produzione della alfa sinucleina, una proteina coinvolta nello sviluppo della malattia.
Il test ha permesso di individuare tre farmaci potenzialmente attivi, tra cui appunto il salbutamolo. A questo punto i ricercatori, insieme ai colleghi dell'università di Bergen, hanno scandagliato il database delle prescrizioni di farmaci in Norvegia negli ultimi dieci anni.
Circa lo 0,1% delle persone che non utilizzavano il farmaco aveva sviluppato il Parkinson, scrivono gli autori, mentre il tasso tra chi lo aveva usato almeno una volta era dello 0,04%. "Anche una volta tenuto conto di altri fattori - spiegano - chi ha preso il farmaco almeno una volta ha un rischio ridotto di un terzo, e il beneficio è maggiore in chi l'ha usato più a lungo".
La scoperta, precisano, potrebbe dar vita a dei test clinici sull'uso del salbutamolo, ma solo una volta che sarà trovata una forma del farmaco in grado di superare la barriera encefalica e arrivare al cervello.
A cura del dott Federico Baranzini - Psicogeriatra a Milano
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Per l’anon della disautonomia. Anche io ne soffro, così come di epilessia e per altri motivi prendo antistaminici. Il ketotifene ha una maggiore permeabilità della barriera emato-encefalica e abbassa la soglia convulsiva, per cui è generalmente controindicato in epilettici o chi ha alterazioni dell’eeg. La cetirizina ha raramente questo effetto ma è opportuno che la somministrazione sia concordata anche col neurologo. Si ha sollievo per le ”turbe mastocitarie” legate alla dis., per il resto...
ecco
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